Domenica 28 Agosto ore 03.00. Tornano a squarciare il cielo le fiamme del Petrolchimico, innalzando una densa colonna di fumo nero .
-E’ stata l’interruzione della fornitura di energia elettrica su entrambe le linee ad alta tensione di Terna a scaricare l’intera massa di richiesta di energia sulle centrali Edipower ed Enipower di Brindisi, facendo saltare il dispositivo di protezione che evidentemente non è calibrato sull’eventualità del black-out totale. Sarebbe questa la prima spiegazione ricevuta stamani dai sindacati dei lavoratori chimici ed elettrici da Enipower (centrale turbogas da 1.170 megawatt ), per il blocco totale degli impianti del petrolchimico consortile di Brindisi e delle stesse già citate centrali termoelettriche, avvenuto alle 3 del mattino di domenica, e durato sino alle 11, quando Terna ha ripristinato la normalità.-
Questo scrive la testata on-line Brindisireport alle 14:19 di Lunedì 29. In realtà ci sono segnalazioni della torcia accesa visibile da Mesagne molto prima delle 3:00, ma soprattutto la "normalità" non è stata ripristinata affatto visto che mentre scrivo questo post (Lunedì ore 23:00) la torcia sputa ancora fuoco e veleni.
Domenica 28 Agosto ore 11:00. I bagnanti lungo il litorale brindisino iniziano ad allarmarsi alla vista della densa nuvola di fumo nero che dalla zona industriale ormai incombe sulle loro teste. Antonio Q. , un surfista, fa delle riprese col videofonino e le invia alla mail del blog.
Alle ore 15,30 alcuni cittadini brindisini (Francesco L., Claudia P., Massimiliano C., Fabrizio D. e Davide D.), allarmati dall’odore acre che si espande nella città si recano prima alla caserma dei Vigili del Fuoco, i quali dicono di non preoccuparsi in quanto trattasi di "operazioni di manutenzione", e poi alla Caserma dei Carabinieri di Brindisi ma riescono solo ad avere poche informazioni.
Alle 16,30 di ritorno da Località Torre Cavallo, i cinque cittadini brindisini si recano in Questura per segnalare il forte odore nauseabondo registrato nella zona.
Le torce continuano a bruciare, seppure ad intervalli, da più di tredici ore e nessuna autorità locale è stata allertata. I centralinisti Eni imbarazzati non rispondono e quando lo fanno non danno alcuna spiegazione.Top-secret sull'accaduto per circa dieci lunghe ore.
Arriva una telefonata: un gruppo di surfisti in Località Lindinuso ci segnala la presenza nell’aria di un forte odore nauseabondo: -una puzza come se fosse benzina- ci dicono.
Inviamo come Movimento No al carbone un comunicato stampa al quale segue una lettera indirizzata ad Arpa Puglia e per conoscenza anche alla Procura della Repubblica.
Lunedì 29 Agosto. Ci mettiamo al lavoro per produrre un dossier da consegnare alla Digos, fatto di testimonianze e materiale foto/video ricevuti via mail.
Il dipartimento Arpa di Brindisi, malgrado le fiammate siano durate dalla notte fino al tardo pomeriggio di Domenica, non avrebbe effettuato alcuna misurazione delle ricadute inquinanti con apparecchiature mobili. I dati on-line delle centraline fisse a terra invece registrano per la giornata del 28/8 una qualità dell'aria ottima!
Mentre noi cittadini non sappiamo ancora se siamo o meno a rischio intossicazione, arriva puntuale il vergognoso comunicato stampa del sindacato Cisal, pronto a prendere le difese di un'azienda (la Polimeri) che non ha avuto neanche il decoro di fare un comunicato per dirci cosa è successo e cosa si sta bruciando.
E intanto sono le 23.57 , quasi Martedì, e arriva un'altra mail: la torcia sputa ancora fuoco e veleni.
Dopo le prime puntate a tema dedicate all’Enichem di Venezia-Porto Marghera, all’Acna Chimica Organica di Cengio, al petrolchimico ENI di Priolo Gargallo, era impossibile non fare una capatina anche Brindisi e non soffermarsi un attimo a riflettere sulle devastazioni ambientali operate dall’ENI in una bella regione come la Puglia, territorio a spiccata vocazione turistica, dove pare abbia avuto luogo uno degli scempi ambientali più gravi della nostra storia.
A Brindisi ritroviamo una vecchia conoscenza, un manager storico dell’ENI, il Dott. Andrea Mattiussi già amm. Delegato della Montedipe - società confluita da Enimont all’Enichem del Gruppo ENI - pluriindagato per vari reati quali strage colposa, disastro ambientale, lesioni gravi e condannato anche per l’inquinamento ed avvelenamento a Mantova del fiume Mincio. Una parentesi: data la rilevanza delle tematiche, dedicheremo quanto prima anche un articolo a Mantova (essendo dotati di grande fantasia possiamo già anticiparvi il titolo: “MANTOVA: Ecco come l’ENI seppellisce i suoi vel-ENI”). Mattiussi dopo turbolenti trascorsi giudiziari, passerà poi alla Snia.
In una Nota riservata di Enichem Anic-Montepolimeri indirizzata proprio al ns. benemerito Dr. Mattiussi, in riferimento al sito industriale di Brindisi, s’esplica quanto segue:
“… la problematica dei residui mercuriosi sempre presente in Fabbrica andò acuendosi in modo rilevante negli anni 1976-77 per la produzione di grossi volumi di fanghi nell’impianto di trattamento acque mercuriose… dopo la fermata del cloro soda i vari residui mercuriosi (fanghi, terre, materiali vari inquinati) presenti in Stabilimento rimasero staccati in attesa di soluzioni sempre ventilate e mai concretizzate che si rivelavano sempre ipotetiche ed aleatorie. Si andava invece nel frattempo aggravando la situazione dello stoccaggio, creando reali pericoli di inquinamento, sia per il progressivo deterioramento dei contenitori dei residui solidi sia per il rischio di trabocco dei fanghi siti sotto il P.28 nel collettore di scarico a mare, a seguito di aumento del livello per forti pioggie. Detto rischio in qualche occasione si è concretizzato… Relativamente ai rifiuti mercuriosi il cesimento indica: n. 740 fusti di fanghi inspessiti, 320 fusti di terra e residui vari inquinati, 100 fusti di grafite, 400 mc. circa di fanghi residui parzialmente inspessiti. Il tutto è stato coperto con scarto di cava per uno spessore di circa 30 cm. Pressato e livellato… su di esso è stato effettuato uno stendimento di sabbia di frantoio rullato con ottenimento di un piano di calpestio camminabile… Non si è ritenuto opportuno né necessario denunciare ad autorità la realizzazione dell’opera sia in relazione alla situazione locale sia in considerazione che non è stato fatto uno scarico sul terreno che rientrava quindi nei disposti della legge …”.
Come potete ben riscontrare anche a Brindisi (come del resto in tutti gli altri siti dell’ENI) la produzione di vel-ENI micidiali è arrivata a toccare livelli da incubo. Tanto che a Brindisi cominciò a porsi il problema di come eliminare questa imponente mole di rifiuti tossico-nocivi. Anche nel caso specifico venne in provvidenziale aiuto la proverbiale ed italica fantasia. Rispetto al modello adottato in altri siti però (interramento diretto dei rifiuti da parte degli uomini ENI) nel contesto brindisino si pensò bene d’adottare una variante inedita. Per una “bonavota” l’Eni decise di non sporcarsi direttamente le mani. Meglio far fare ad altri il “lavoro sporco”. Entrò così in scena un eclettico personaggio, dotato di bacchetta magica, che rivelò all’ENI come far sparire 1 milione di metri cubi di fanghi mercuriali. Il nostro machiavellico Geom. Giuseppe Bonavota da Briatico,classe 1927 (questo il nome dell’eclettico mago Zurlì dei rifiuti) con le sue magie riuscì persino di surclassare l’Eni.
Far “sparire” i vel-ENI anziché “seppellire” i vel-ENI è certamente un’idea innovativa. Chapeau. Avviene così che il Bonavota, unitamente alla società Micorosa Srl (di Brindisi) e la società Montedipe Spa siglano una “Scrittura Privata” (che trovate qui di seguito allegata e riprodotta pdf) che ha per oggetto: “ … la reindustrializzazione dell’area di Brindisi”, nonché la nobilissima finalità del “… reimpiego del personale attualmente in CIGS di Montedipe … sul presupposto che venga installata in un’area confinante con lo stabilimento petrolchimico un’azienda industriale avente come attività il recupero e la lavorazione di sottoprodotti fangosi con esclusivo reimpiego di personale di Montedipe … Montedipe riconoscerà a Micorosa per ciascun dipendente MONTEDIPE in CIGS assunto da Micorosa … un contributo di 15 milioni …”.
Il progetto Micorosa-Bonavota - che trovate anche questo quì di seguito allegato e riprodotto - riscosse immediatamente l’entusiastico consenso dei vertici dell’ENI (e lo credo bene … far sparire 1 milione di mc di vel-ENI come per incanto) tanto che il prode Mattiussi si studiò a memoria ogni singoli passo del memorandum e s’incorniciò nell’ufficio la copertina del dossier che titolava: “Progetto di fattibilità per l’installazione in un’area confinante con lo stabilimento petrolchimico di Brindisi di una azienda industriale avente come attività il recupero e la lavorazione di sottoprodotti fangosi”.
Non potete neanche lontanamente immaginare i ritorni che potrebbero esserci in termini industriali se progetto funzionerà bene e senza intoppi. Se il Bonavota non è un pazzo furioso visionario ed il suo procedimento alchemico è ok potrebbe essere sfruttato su larga scala per smaterializzare d’incanto tutti i rifiuti killer dell’ENI sparsi in tutti gli stabilimenti d’Italia e del mondo.
Così sul finire degli anni ’80 si moltiplicano freneticamente i contatti tra l’archimede pitagorico brindisino, Mattiussi ed i vertici dell’Ente Energetico Idrocarburi per mettere a punto le varie fasi dell’affaire. Finchè un giorno Dario Amodio di Enichem Anic invia una Nota riservata a Mattiussi che riassume i termini del business: “Nota riservata per il dott. Mattiussi - iniziativa Bonavota per il riutilizzo di fanghi da carburo”. Scrive il relatore di Enichem Anic:
“… a sud dello stabilimento petrolchimico, fuori della recinzione, esiste un’area di circa 44 ettari denominata “Zona Fanghi” adibita a suo tempo a ricevere i residui provenienti dalla produzione di acetilene da carburo. La massa dei fanghi depositata nel tempo può essere valutata ad un milione di mc… disponendo di una così rilevante massa di fanghi ci siamo attivato da tempo per studiarne l’utilizzo e conseguire contestualmente la bonifica della zona eliminando fonti di rischio per le persone che incautamente vi si fossero inoltrate e restituendo al verde l’intera area. Proficui son stati i contatti avviati con un imprenditore locale, che ha trovato la soluzione del problema. Attraverso opportuni processi tecnologici (che di seguito sono indicati) ha trovato il modo di trasformare i fanghi ricavandone prodotti da utilizzare nell’edilizia civile … l’imprenditore di cui si parla è il Geom. Giuseppe Bonavota socio e dirigente di alcune società (Edil Cover, Moviter Sud, Corat Service) che operano a Taranto nel campo dell’edilizia e dell’estrazione e lavorazione calcarei … Essendo la massa stimata dei fanghi clorurati di 1 milione di metri cubi si prevede di dover trattare in totale 10 milioni di quintali … lavorando 2000 quintali al giorno, considerando ogni anno 300 giornate lavorative, si prevede che l’attività avrà una durata di 30 anni”.
Inutile dirlo l’idea è semplicemente geniale. S’elimina una fonte di rischio per l’uomo e l’ambiente togliendo i rifiuti tossico nocivi dallo stabilimento dell’ENI di brindisi e si spostano i vel-ENI trasformandoli in tegole, in mattoni, piastrelle, malta da costruzione etc etc. Era l’aprile del 1987. Segnatevi bene sul calendario sta data nella quale è stata concepita sta genialata d’idea. Come si legge nel memorandum sta tipologia di “smaltimento” avrebbe richiesto perlomeno 30 anni per far fuori tutti i veleni dell’ENI. Se non fosse stato per lui (sempre il geniale e magico Geom. Bonavota) a quest’ora sarebbero stati ancora lì a trasformare fanghi clorurati imbottiti di mercurio in malte bastarde (bastarde proprio e anche stronze). Zurlì diede invece un aiutino decisivo pronunciando le fatidiche frasi “sim-sala-bim” e/o “Magicabula”. E come per incanto i vel’ENI svanirono. Ancor tutt’oggi non si sa bene dove siano finiti. E’ un ENI-gma. Si sa solo che imponenti concentrazioni di inquinanti e vel’ENI son stati riscontrati nell’area che doveva servire per realizzare il progetto del mago Bonavota. Oggi quell’area brindisina si chiama “discarica Micorosa”. Sin’oltre i 5 mt di profondità son stati trovati sepolti nelle viscere della terra, tonnellate e tonnellate di vel-ENI fra cui dicloroetilene, il famigerato cloruro di vinile, benzene, arsenico, e altri contaminanti per volumi complessivi che superano di 4 milioni di volte i limiti consentiti dalla legge.
Una bomba nucleare ecologica mai disinnescata proprio alle spalle dell’Oasi Naturale delle Saline (e lì sti vel-ENI ci sono ancora tutti). Non è un caso che a Brindisi dalla fine degli anni ’80 in poi siano registrate stranissime morti probabilmente riconducibili agli agenti chimici killer, in primis il cloruro di vinile (ma in questo cazzo di paese una volta l’azione penale non era obbligatoria?).
Alcuni dicono che erano altri tempi. Erano tempi in cui tutti facevano i cazzi che volevano. A Brindisi inquinava anche la Guardia di Finanza. Si legge in una nota di Enichem Anic (v. doc. allegato) che lo stabilimento Montedipe di Brindisi “non è mai stato dotato di un impianto di trattamento centralizzato delle acque di processo di scarico dei vari impianti produttivi, e nemmeno di impianti di trattamenti specifici, e quindi tali acque di processo confluivano direttamente nei collettori di raccolta delle acque di raffreddamento che scaricavano a mare…attualmente son stoccati in stabilimento 82.000 metri cubi di soluzione acquosa di Sali sodici (provenienti dallo stabilimento Enichem Agricoltura di M. Sant’Angelo) che occorre smaltire sia per liberare i serbatoi che su sollecitazione dell’Amministrazione Provinciale di Brindisi… con l’acquisizione della proprietà Montedipe è stato riscontrato che gli scarichi civili della Caserma della G. d F. e degli alloggi sociali confluiscono a mare, a cielo aperto attraverso una spiaggia. Pertanto è opportuno convogliare tale scarico al trattamento biologico… tale scarico è causa di esalazioni maleodoranti in particolare durante il periodo estivo quando si registra una notevole presenza di persone sulla spiaggia. Per tali motivi e onde evitare coinvolgimenti e strumentalizzazioni esterne è opportuno convogliare tale scarico all’impianto biologico dello stabilimento…”.
Beh se capitate nei pressi di Brindisi e avete proprio voglia di farvi na nuotatina da ste parti, occhio a non farvi un pieno di colifecali delle fiamme gialle. Se invece siete indigeni del luogo ed avvertite strane patologie, ringraziate l’ENI. E tra poco potrete dire grazie anche all’On.le Stefania Prestigiacomo (ns. illustre ministro dell’Ambiente) che è rimasta così profondamente toccata dall’emozionante storia ambientale dell’ENI che ha deciso di condonare all’ENI, con apposito decreto, tutti i più gravi disastri ambientali della storia. Brindisi incluso. Una cosa così vergognosa che più vergognosa di così non si può.
Allora senza offesa. Possiamo proporre un “Brindisi” per il nostro ministro dell’ambiente?
A Savona il progetto per l'impianto a carbone con la benedizione di Pd e Pdl. Accordo fra governo e Regione Liguria. Ma anche De Benedetti ci guadagna.
Paura di respirare. Di infilare dentro di te un nemico invisibile. A Vado, Quiliano, Savona, in tanti vivono così.
Strana storia quella della centrale a carbone di Vado Ligure. Delle sue sorelle, come quella di Porto Tolle, si parla perché, incredibilmente, erano sorte vicino a un parco naturale. Di questa, cresciuta in mezzo a una città, quasi nessuno sa nulla: da quarant’anni brucia fino a 5000 tonnellate di carbone al giorno. E pensare che, secondo gli esperti, gli effetti arrivano a 48 chilometri: fino a Genova, fino a località turistiche come Varigotti e Loano. A luglio il governo e la Regione Liguria hanno approvato il progetto di ampliamento.
Ma a protestare contro il nuovo impianto da460 Megawatt (che si aggiungerà inizialmente ai due esistenti da 330 Megawatt l’uno) c’è solo chi vive all’ombra delle due ciminiere. È letteralmente così: case, scuole, ricoveri per anziani dal 1970 sono a pochi passi dai camini di 200 metri. Ma adesso la gente ha deciso di dire basta, sventolando gli studi sugli effetti delle centrali a carbone. A diffonderli non sono fanatici, ma gli esperti dell’Ordine dei Medici. I dati annuali sulla mortalità maschile per tumore ai polmoni su 100.000 abitanti parlano di 54 decessi in Italia, 97 a Savona e 112 a Vado.
Statistiche, ma se vai in via Pertinace qualcuno dà nomi e volti ai numeri. A ogni finestra corrisponde una storia. Suggestione? A Vado da decenni si sono concentrate industrie inquinanti che hanno dato lavoro, ma bruciato perfino la vegetazione delle colline. L’Ordine dei Medici aggiunge: “La stragrande maggioranza delle emissioni inquinanti nel comprensorio Vado-Quiliano-Savona provengono dalla centrale elettrica (circa il 78,5 per cento per il PM 2,5 solo per i gruppi a carbone)”.
D’accordo, non esistono studi che dimostrino il rapporto tra le morti per tumore, ictus, infarti e la centrale. Ci voleva la procura, guidata da Francantonio Granero, che ha incaricato esperti come Paolo Crosignani, Paolo Franceschi e Valerio Gennaro e ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo (a carico di ignoti).
“Intanto l’ampliamento è già stato approvato”, allarga le braccia Stefano Milano che dalla sua libreria nel cuore di Savona ha raccolto firme contro il colosso della Tirreno Power. “Intorno alla centrale ruotano interessi economici e politici”, aggiunge mostrando le lettere di protesta di cittadini, associazioni e quasi tutti i partiti. Con due assenze: Pd e Pdl.
Già, Vado e la sua centrale, come Taranto con l’Ilva, strette nella tenaglia “salute contro occupazione”. Mario Molinari, giornalista d’inchiesta, respinge l’alternativa secca: “Utilizzando studi americani su una centrale simile e parametri dell’Unione Europea, i medici dell’associazione Moda hanno quantificato i danni a salute e coltivazioni di una centrale a carbone in 36,5 milioni all’anno (142 milioni i costi complessivi). Un danno molto maggiore del beneficio dato dall’impianto (dove lavorano 250 persone, ndr)”.
Così ecco il paradosso: tutti i 18 comuni interessati hanno votato contro l’ampliamento. Durante l’ultima campagna elettorale per le regionali, i candidati si sono espressi contro il carbone. E poi? Il progetto è stato approvato. Una decisione che ha sollevato le critiche della Curia sulle pagine del Letimbro, il giornale diocesano di Savona: la decisione “contraddice con forza le posizioni di alcuni partiti che sostengono la giunta Burlando i quali, in campagna elettorale, avevano ribadito il “no”.
Ma che cosa prevede l’accordo? Renzo Guccinelli, assessore alle Attività produttive della Regione, spiega: “Sarà realizzato un nuovo gruppo a carbone da 460 megawatt. Ci vorranno sei anni. Allora si abbatterà uno dei due gruppi vecchi e, dopo altri tre anni, si abbatterà il terzo. A quel punto valuteremo l’opportunità di dare parere favorevole alla costruzione di un ulteriore gruppo per il quale non è previsto alcun automatismo”.
Insomma, impianti nuovi al posto di quelli con quarant’anni di vita. Ma un aumento di potenza della centrale. Nel frattempo, l’accordo prevede una serie di prescrizioni, tra cui l’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale).
Una vittoria per l’ambiente, secondo la Regione: “Tirreno Power non era disposta a realizzare un impianto interamente a metano come chiedono i cittadini”, racconta Renata Briano, assessore all’Ambiente. Perché non sostituire semplicemente i due vecchi impianti senza ampliamenti? “L’azienda non era disposta. Al massimo avrebbe adeguato gli impianti, ma si sarebbe inquinato di più che con il nuovo progetto”.
I cittadini, però, parlano di “resa” per ambiente e salute. Come Gianfranco Gervino di Uniti per la Salute: “I gruppi non potevano restare come sono, ma per legge e senza condizioni dovevano essere adeguati alle migliori tecnologie. Invece continuano a funzionare. In pratica si è contrattato l’ampliamento con il rispetto delle norme. È incredibile”.
La Regione non è la sola favorevole all’accordo. Tirreno Power difende il progetto: “Gli studi per ottenere la Valutazione di Impatto Ambientale sono in corso, ma dovranno tenere conto dei miglioramenti che ridurranno le emissioni del 40 per cento”. Non era meglio valutare prima di ingrandire? “Diventerà una delle centrali più pulite d’Europa”. Ma i dati dell’Ordine dei Medici? “Ognuno può diffondere i dati che crede. L’accordo prevede un Osservatorio che monitorerà l’impatto della centrale”.
Anche altre figure di spicco sono per l’ampliamento. Fabio Atzori, presidente dell’Unione Industriali, ha commentato: “Per Savona è come aver vinto al Superenalotto”. Una frase che ha sollevato polemiche: “Atzori – ricorda Molinari – è amministratore delegato della Demont che lavora con Tirreno Power”. C’è chi ricorda che il vicepresidente degli industriali savonesi, è Giovanni Gosio, manager Tirreno Power.
La questione scuote equilibri immutabili del potere locale. Che dire, per esempio, di Luciano Pasquale definito da Claudio Scajola “manager di grande caratura”? Pasquale, anche lui sponsor dell’operazione Tirreno Power, è un recordman delle poltrone savonesi: già presidente dell’Unione Industriali è oggi numero uno della Camera di Commercio e presidente della Carisa, la banca cittadina. Senza contare cariche varie, soprattutto nelle società autostradali (legate al gruppo Gavio).
Tirreno Power vanta un appoggio trasversale. I comitati hanno inviato una lettera a Carlo De Benedetti, imprenditore tessera numero uno del Pd e proprietario attraverso Sorgenia del 39 per cento delle quote di Tirreno Power. “È una lotta impari – racconta Molinari – Tirreno Power ha mezzi inesauribili: compra pubblicità sui quotidiani, tappezza la città di manifesti e sponsorizza iniziative del Comune”.
A Vado Ligure, però, delle questioni di potere interessa poco. Nel torrente Quiliano, l’Arpal nel 2009 ha rilevato la presenza di metalli pesanti e di idrocarburi policiclici aromatici cento volte superiore alla legge. I medici parlano di “molto probabile derivazione dalla centrale a carbone”.
Per i responsi definitivi bisogna attendere l’indagine epidemiologica. Intanto si può andare alla farmacia Mezzadra o a quelle di Quiliano. “C’è una diffusione notevole di malattie respiratorie”, dicono i farmacisti. I clienti presentano la ricetta. Molti non hanno bisogno di parlare. Il codice 048 sulla prescrizione vuole dire una cosa sola: tumore.
Civitavecchia. Il carbone di Tvn inquina, ma stamattina anche di più perchè è scoppiato un trasformatore dell'impianto ed è andato a fuoco. Il fumo dell'olio bruciato è diventato un fungo venefico terrificante, ancora piu pericoloso qiando è arrivato sulle nostre teste, spostato dal un vento in quota che in ora l'ha portato a Tarquinia.
Grazie Enel.
Che impotenza davanti ad un pericolo del genere, mio figlio era angosciato che non credeva fosse vero.
Fumo di una sostanza che neanche sappiamo ci cade in testa e noi, pietrificati aspettiamo che passi.
Mamma fa male questo fumo?
Si amore, di mamma ed è per questo che non mollo da anni.
Signor Sindaco, questo è il prezzo dei soldi accettati da Enel?
Che prezzo possiamo ancora pagare per l'errore politico che avete commesso a dire si ai soldi di Enel.
La frase che facevate girare tra la gente era...di non voler fare la fine del Cerasaro!
Tutti coloro che hanno detto si al carbone, consiglieri di maggioranza e assessori con il Capitano Mazzola, devono portarsi dietro il peso di tanta responsabilità, e anche tutta la mia personale condanna morale e politica.
Tutti i soldi elargiti per gli eventi, per le mucche chevrolet, per i marciapiedi, ma che sono se poi paghi tutto questo.
Si sono concluse nei giorni scorsi le indagini della Guardia di Finanza di Vibo Valentia, riguardanti l'operazione "Poison". Sei lunghi anni di rapporti commerciali tra Enel e l'azienda calabrese Fornace Tranquilla, indagata per aver interrato illecitamente fanghi ad alto potenziale inquinante e cancerogeno provenienti dalla centrale brindisina.
Un rapporto, finalizzato allo smaltimento illecito, immutato e ininterrotto a partire dall'anno 2000 fino al 2008. Per il periodo 2000-2006 è avvenuto l'occultamento di 127 mila tonnellate di rifiuti pericolosi nel sito dell'azienda Fornace Tranquilla. A seguire, negli anni 2006-2008, l'occultamento di 100 mila tonnellate di rifiuti pericolosi nella cava della ditta Caserta in località Giammassaro di Lazzaro, agro del comune di Motta San Giovanni. In entrambi i casi veniva rappresentato falsamente il recupero dei fanghi incriminati in una fabbrica di laterizi.
Oltre 127 mila tonnellate di rifiuti pericolosi spacciati per innoqui. Le analisi chimiche sui veleni sepolti portano alla luce pericolosi inquinanti fra cui una miscela esplosiva di stagno, vanadio, nichel, solfati, fluoruri e selenio provenienti per la quasi totalità dalla centrale termoelettrica Federico II, e sversati nelle viscere della terra di Calabria, in prossimità di pescheti e aranceti.
Oltre 127 mila tonnellate di rifiuti pericolosi che se fossero stati smaltiti in discariche autorizzate avrebbero comportato per Enel un costo di oltre 22 milioni di euro.
Ai 18 indagati (manager e responsabili Enel e titolari di aziende) vengono contestati, a vario titolo e in concorso, i reati di associazione a delinquere finalizzata al traffico e all’illecito smaltimento di rifiuti pericolosi, disastro ambientale con conseguente pericolo per l’incolumità pubblica, avvelenamento di acque e di sostanze alimentari, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale, falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, e gestione non autorizzata dei rifiuti.
Adesso gli indagati aspettano la parola del pm Mario Spagnulo titolare dell'inchiesta.
(fonte: Nuovo Quotidiano di Puglia - www.calabrianotizie.it)