3 maggio 2014

TARANTO E BRINDISI VOGLIONO RISCRIVERE IL LORO DESTINO.

Taranto e Brindisi sono legate allo stesso destino. All'inizio degli anni '60 la nascita della Montecatini a Brindisi e dell'Italsider a Taranto, rompono l'equilibrio tra città e ambiente, tra tradizione e lavoro, tra la gente e la propria terra. Viene veicolato, dentro e fuori la fabbrica, un pericoloso e distruttivo pregiudizio che si è trascinato fino ai giorni nostri : quello che lo scambio tra lavoro e salute di chi sta in fabbrica e di chi vive nell'area circostante, fosse un elemento necessario al "progresso", al PIL, all'interesse nazionale.
 

Vecchi filmati ripropongono identiche, crudeli immagini (costa, ulivi e masserie distrutti). Con sottofondo di musiche trionfalistiche e tronfie descrizioni, assistiamo alle stesse scene di violenza su terreni e coste incontaminate, sacrificate alla grande industria. 
Anche questi filmati, la stampa, la politica, esaltano un modello di sviluppo che era "progresso, benessere, modernità". La figura del lavoratore per antonomasia diventa quella dell'operaio della fabbrica, mentre si deride e si disprezza il lavoro dei contadini, dei pastori o dei pescatori. Un pregiudizio secondo cui soltanto quel tipo di lavoro, quello nella fabbrica, potesse dare la dignità oltre a uno stipendio sicuro. "C'era meno denaro e pure meno miseria" (cit. Casa mia -SSS-). La dignità era già nelle nostre case. Il lavoro nei campi, la pesca, i pascoli , le botteghe artigiane di falegnami , fabbri e bottai , tra chi produceva il nostro ottimo vino e chi si occupava del suo trasporto per mare...tutto questo lavoro era intriso di dignità.
 
Noi solleviamo la nostra critica a questo modello di sviluppo. Questi luoghi furono scelti appositamente non solo per un fatto logistico (i nostri meravigliosi porti) ma anche per la disponibilità di manodopera a basso costo e bassi diritti su un territorio su cui ancora erano evidenti i tragici segni della guerra , nella logica di un "razzismo ambientale" che colpisce tutti i Sud del mondo.
Taranto come Brindisi furono scelti nell'ottica di un nuovo colonialismo economico/industriale . Ingenti fondi pubblici finirono nelle casse delle aziende che dal nord venivano ad occupare migliaia di ettari di terreni e di costa, senza che tali impegni di spesa pubblica portassero reale sviluppo attorno a queste "cattedrali" .
A distanza di mezzo secolo resta l'amarezza di questo fallimento. Resta una terra devastata, i suoi abitanti avvelenati e i nostri giovani che vanno via.
 
Ma si delinea oggi una nuova consapevolezza: che bisogna cambiare pagina, ancor meglio cambiare libro. Mettiamo in uno scaffale quello che abbiamo letto fino ad oggi, senza perderlo di vista, perché rileggendo il passato si può evitare di incorrere negli stessi errori. Riscriviamo il nostro destino.
Brindisi e Taranto, insieme a tutte gli altri territori sfruttati non vogliono mai più essere isolati.
Dobbiamo unire le nostre forze, la nostra rabbia, il nostro entusiasmo. Anche questo è ciò che ha espresso il 1° maggio a Taranto.

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